Oramai da parecchi decenni, la litania che i “diversi” governi che si sono succeduti hanno recitato come un mantra è stata quella del “taglio delle tasse”: con questa manovra si sarebbe combattuta la crisi, si sarebbe aumentato il reddito e la conseguente capacità di spesa degli italiani, talvolta si è sostenuto che si sarebbe anche abbattuto –non si sa perché, ma si è detto anche questo –il deficit pubblico.
Di tutte le bufale governative, questa è sicuramente quella più gradita a livello popolare e purtroppo la richiesta del “taglio delle tasse” la si sente richiedere a gran voce anche da parte dei settori meno abbienti della popolazione. D’altronde, a chi non dispiacerebbe pagare meno tasse e vedersi così aumentare il reddito? Peccato che, di anno in anno, di “taglio”in “taglio”, la crisi è sempre più aumentata, il reddito delle classi meno abbienti è diminuito e di conseguenza la capacità di spesa della maggioranza degli italiani, il deficit pubblico è andato alle stelle, quadruplicandosi letteralmente rispetto al periodo dello spendaccione e tassatore “stato sociale”.
In effetti, la questione del “taglio delle tasse” è la dimostrazione palese della potenza dei meccanismi ideologici di dominio, che riescono a giungere a convincere la popolazione dominata che un’enorme fregatura sia, per essa, un vantaggio, giungendo a farla richiedere a gran voce. Vediamo allora in che consiste il “taglio delle tasse”, utilizzando come esempio quella che dovrebbe essere la tassa progressiva –più guadagni, più tasse paghi, meno guadagni, meno tasse paghi –per eccellenza, che,infatti, era nata all’insegna del puro dettato costituzionale in merito: l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche).
Questa entrò in vigore nel 1974, dopo essere stata istituita con il D.P.R.n.597/1973, venendo presentata –allora giustamente –come una imposta diretta, personale e progressiva, in linea col dettato costituzionale (l’art.53 della Costituzione, infatti, recita che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”). Tra l’altro, non tutte le imposte nell’ordinamento italiano rispettano tale principio: l’IRPEF –che è l’imposta principale, da cui si ricava il maggior gettito fiscale –dovrebbe servire proprio a garantire il principio costituzionale di progressività. Si tratta, infatti, di una imposta progressiva, sia pure per scaglioni e non calcolata sul reddito effettivo personale, per cui chi si trova al livello minimo di uno scaglione paga quanto chi si trova al livello massimo dello stesso scaglione.
All’inizio, poco male, perché nel 1974 c’erano ben 32 aliquote progressive: la prima aliquota sui redditi fino a 2 milioni di lire l’anno era del 10%e saliva gradatamente fino a raggiungere l’ultima aliquota sui redditi oltre 500 milioni di lire l’anno con il 72%di tassazione. In pratica, era anche una forma di redistribuzione del reddito e, non a caso, la sua attuazione in questa tipizzazione di aliquote avviene nel cuore di un periodo di lotte sociali notevolmente avanzate e, indubbiamente, fa il paio con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori e varie altre conquiste di quegli anni.
Poi, il riflusso, gli anni della “Milano da bere”ed i governi iniziarono il mantra del “taglio delle tasse”e della “semplificazione” –altra parola magica (per i potenti), su cui magari ritorneremo. Nove anni dopo,era il 1983, le aliquote da 32 passarono a 9: la prima aliquota sui redditi fino ad 11 milioni dal 10%si alzò al 18%,la seconda per i redditi fino a 24 milioni si alzò al 27%,la terza sui redditi fino a 30 milioni al 35%,la quarta sui redditi fino a 38 milioni al 37%, la quinta sui redditi fino a 60 milioni al 41%, la sesta sui redditi fino a 120 milioni al 47%, la settima sui redditi fino a 250 milioni al 56%, l’ottava sui redditi fino a 500 milioni al 62% e l’ultima sui redditi oltre 500 milioni scese al 65% –era iniziato il “taglio delle tasse”.
Sei anni, nel 1989, dopo un altro “taglio”: le aliquote si riducono a 7 ,la prima aliquota sui redditi fino a 6 milioni di lire tornò al 10%ma l’ultima sui redditi oltre 300 milioni di lire si abbassò ulteriormente al 50%. In apparenza un taglio un po’per tutti, ma la pacchia dura poco. Tralasciando alcune variazione minori, nel 1998 ecco arrivare un altro bel “taglio”:le aliquote diventano 5, con la prima fino a 15 milioni di reddito che sale di botto al 18,50%, la seconda fino a 30 milioni al 26,50%, la terza fino a 60 milioni al 33,50%, la quarta fino fino a 135 milioni scende al 39,50% e la quinta ed ultima, oltre i 135 milioni addirittura al 45,50%.
Ma la cosa non è finita qui. Fatte salve variazioni minori, ecco che nel 2004 giunge un altro “taglio”: le aliquote restano 5, ma la prima fino a 15.000 euro sale nuovamente di botto al 23%, la seconda fino a 29.000 euro al 29%, la terza fino a 32.600 euro va al 31%, la quarta fino fino a 70.000 euro scende al 39% e l’ultima, oltre i 70.000 euro al 45%. Altre piccole variazioni e poi l’ultimo “taglio”della nostra storia in ordine di tempo avviene nel 2007: le aliquote restano 5, ma la prima fino a 15.000 euro sale nuovamente di botto al 23%,la seconda fino a 28.000 euro va al 27%, la terza fino a 55.000 euro va al 38%,la quarta fino fino a 75.000 euro sale un po’e giunge al 41% ma l’ultima, oltre i 75.000 euro scende al 43%.[1]
Insomma, i governi una volta tanto non mentono: le tasse le tagliano davvero. Per i ricchi. Aumentandole ai poveri. Il tutto riuscendosi a farsi applaudire.
Ricapitolando l’essenziale di questa storia, negli anni ’70 i ricchissimi pagavano il 72%,oggi pagano il 43%. Il tutto alla faccia della progressività, dato il diminuire degli scaglioni e il fatto che chi guadagna milioni, decine di milioni, centinaia di milioni ed anche miliardi di euro all’anno paga la stessa percentuale di chi ne guadagna 75.001.
Adesso l’attuale governo sta reintonando il mantra del “taglio delle tasse” –c’è davvero di che averne paura. Non fosse altro perché è evidente la linea di marcia: l’imposta regressiva sul reddito, quella in cui l’aliquota decresce al crescere dell’imponibile. Nel paese che ci viene additato ad esempio di “democrazia matura” e da imitare, la segretaria del Presidente USA paga più tasse di lui e questi a sua volta di più di un miliardario.[2]
E’ giunto il tempo di opporsi a questo stato di cose, che finora è andato avanti in maniera nascosta: come dicevamo all’inizio, il meccanismo ideologico di dominio su questa questione ha funzionato finora fin troppo bene. Il primo passo da fare è smontarlo, cifre alla mano, nei nostri luoghi di lavoro e di vita.
Enrico Voccia
NOTE
[1]http://www.kitech.it/Aliquote_IRPEF_IRE.aspx
[2]http://www.repubblica.it/esteri/elezioni-usa/2012/04/14/news/tasse_obama_romney-33280934/ –http://www.blitzquotidiano.it/politica-mondiale/usa-fisco-milionario-romney-meno-tasse-di-obama-1193087